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Solo tra mari e cieli
Perché Moitessier, quando era già praticamente il vincitore del primo giro del mondo a vela senza scalo in solitario, preferì rinunciarvi e, invece di approdare in Inghilterra, proseguì, compiendo un altro mezzo giro del globo e andando all’atterraggio di Tahiti? Ora Moitessier, in questo che è il più meditato e sofferto dei suoi libri, racconta quel viaggio: in che modo e perché lo intraprese, e dove lo ha condotto la sua “lunga rotta”.
Nato a Hanoi nel 1925 passò la sua infanzia in Indocina. Nel 1947 iniziò la sua vita da vagabondo degli oceani, abbandonando la famiglia e il lavoro nell'azienda paterna per girovagare nel Golfo del Siam su una piccola giunca. Più avanti iniziò a scrivere dando forma al suo primo libro, Un Vagabondo dei mari del sud. Arrivato in Francia elaborò il progetto di realizzare una barca d'acciaio. Ne fece disegnare il progetto da Jean Knocker, dietro suoi suggerimenti, e l'industriale Fricaud gli mise a disposizione le attrezzature per la costruzione. Così nacque Joshua (in onore del grande navigatore Joshua Slocum), un robusto ketch armato con due pali telegrafici, con cui impartì lezioni di vela d'altura nel Mar Mediterraneo. Partiti da Moorea il 23 novembre 1965, l'11 gennaio dell'anno successivo passarono al largo di Capo Horn, dopo aver subito una spaventosa tempesta della durata di sei giorni. Dopo 126 giorni di navigazione ininterrotta, Bernard e Françoise approdarono finalmente ad Alicante e da questa avventura nacque il libro Capo Horn alla vela. Mentre scriveva il suo resoconto Capo Horn alla vela, cominciò a progettare un'impresa ambiziosa e mai tentata prima: fare il giro del mondo senza scalo, passando per i tre capi (Buona Speranza, Capo Leeuwin e Capo Horn) e durante il 1968 lavorò al Joshua allo scopo di metterlo in condizioni di affrontare i Quaranta ruggenti e i 50 urlanti di Capo Horn. Proprio mentre stava organizzando il suo ambizioso viaggio, venne indetta dal Sunday Times nel 1968 la prima regata intorno al mondo in solitario, la Golden Globe Race, con partenza da un qualsiasi porto inglese e ritorno dopo aver passato i tre capi. Moitessier decise di partire da Plymouth il 22 agosto 1968. Dopo aver doppiato i tre capi e superato Knox che era partito con circa un mese di anticipo ed era sempre stato primo, con grande stupore del mondo intero, annunciò di non voler ritornare in Europa, abbandonando così la gara. Proseguì quindi la rotta meridionale superando per la seconda volta il Capo di Buona Speranza e percorse un altro mezzo giro del mondo, senza scalo, fino a raggiungere il 21 giugno del 1969 dopo aver percorso 37455 miglia ( 69367 km ), Tahiti, nella Polinesia francese perché, come scrisse: «… sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima». La storia della celebre impresa si trova narrata nel suo libro più famoso, "La lunga rotta", uno dei libri di mare più apprezzati e più letti al mondo, che ha fatto di lui un modello per intere generazioni di velisti. Memorabile il suo rapporto con la barca, con la quale aveva fatto un patto: «dammi vento e ti darò miglia» sussurrerà Joshua. Nel 1982 venne sorpreso da un improvviso e forte ciclone mentre stava ormeggiato in rada davanti alla costa messicana, Joshua, si arenò sulla spiaggia in pessime condizioni. Moitessier, non essendo nella condizione economica necessaria per recuperare la sua barca, la regalò a due ragazzi che l'avevano aiutato a disinsabbiarla. Joshua fu successivamente acquistata e ristrutturata dal Museo Navale de La Rochelle e dal 1993 è utilizzata come nave scuola e visitabile. Trasferitosi definitivamente in uno sperduto atollo delle Tuamotu continuò a stupire l'opinione pubblica con i suoi gesti e le sue campagne in favore dell'ecologia e del disarmo nucleare navigando con la sua ultima barca Tamata. Scrisse il quarto e ultimo libro Tamata e l'alleanza ripercorrendo e riflettendo sulle avventure di una vita e di cui riuscì a vederne il successo. Malato di un tumore alla prostata, diagnosticato nel 1989 e che non esiterà a chiamare «la bestia», morì a Parigi nel 1994.
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