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Immersioni estreme, il naufragio dell’Andrea Doria e la febbre del reperto
Il 25 luglio 1956 l’Andrea Doria, orgoglio della marineria italiana, affonda al largo dell’isola di Nantucket, in Massachusetts, speronata nella fitta nebbia notturna dalla nave svedese Stockholm. Dopo ore di agonia, l’imponente scafo s’inabissa andando a posarsi sul fondo dell’oceano. Da quel momento il relitto si trasforma in uno dei luoghi più ambiti dai subacquei, banco di prova per immersioni estreme e luogo di caccia per i collezionisti di cimeli, attratti soprattutto dalle pregevoli porcellane usate a bordo del transatlantico italiano.
Negli anni Novanta le spedizioni all’Andrea Doria diventano un business, e si moltiplicano le barche che offrono ai sub crociere sul luogo del relitto. Tra queste ilSeeker, comandato da Dan Crowell, si guadagna la reputazione di migliore barca appoggio, con centinaia di clienti trasportati ogni anno e il record di oggetti riportati in superficie.
Ma nelle estati del 1998 e del 1999 cinque subacquei, tutti imbarcati sul Seeker, muoiono nel corso di immersioni all’Andrea Doria. È una tragica casualità? Qualcuno è responsabile? O c’è una maledizione che circonda il relitto?
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